Chi studia il diritto alla privacy è come un virologo in mezzo alla pandemia: deve convincere le persone che la violazione della privacy è qualcosa di subdolo, invisibile e pericoloso. E come per il Covid, le misure di prevenzione della privacy sembrano inutili ed eccessive.
In realtà il tema è complesso. Quando si discute di privacy ci si occupa del destino delle nostre società, partendo da un concetto che è “precondizione” dei principali diritti e libertà fondamentali della nostra vita quotidiana.
Ormai la società odierna ritiene scontata la democrazia, la nostra generazione non ha provato sulla pelle la fatica di conquistarla. Non ci si pone neanche il dubbio che dati e informazioni possano essere usati per piccole o grandi forme di discriminazione, collegate a pensieri, opinioni politiche, credenze religiose, condizioni di salute. La privacy è elemento costitutivo della società dell'uguaglianza e della partecipazione: senza tutela dei dati personali, i cittadini rischiano d'essere esclusi dai processi democratici, nella prospettiva di una società della sorveglianza, della classificazione, della selezione sociale, della predeterminazione automatizzata delle scelte individuali. Il principio vale per tutti i diritti e le libertà che conosciamo: senza tutela dei dati sanitari non c’è diritto alla salute, senza tutela delle opinioni si demolisce la libertà di stampa, espressione. Senza limiti alla raccolta di dati di geolocalizzazione e videosorveglianza non vi è libertà di circolazione. Senza freni a biometria e riconoscimento facciale non vi è più neanche identità personale. Anche la tutela del lavoratore passa attraverso il rispetto della sua privacy.
La privacy inoltre è intimità. Intimo è ciò che è solo mio o di pochissimi. Profuma di inviolabile e di inalienabile, di dignità e rispetto. La privacy è il collante di valori indivisibili e universali, come libertà, uguaglianza e solidarietà, come dice anche la stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Negli ultimi anni l’informatizzazione e il web hanno fatto da detonatore ai rischi privacy. Mi rendo conto che non è semplice avere una visione completa di quanto accade. Comprendo pertanto lo spirito dei commenti contro la “legge sulla privacy”. La maggioranza delle persone ritiene che non sia un disvalore cedere informazioni sulla propria vita privata, soprattutto se l’obiettivo è quello avere più salute, più trasparenza, più sicurezza. Ma l’ottica della “legge sulla privacy” e della costante attività dell’Autorità Garante per la protezione di dati personali è più lunga, non si ferma al singolo caso. Archivi e server di aziende e pubbliche amministrazioni, siti web, posta elettronica e social network stanno diventando immense miniere (o discariche) di informazioni anche sensibili su singole persone identificate. Sono pezzi della nostra vita che ogni istante si accumulano in modo esponenziale, che vengono gestiti e intercambiati da migliaia di soggetti che vi accedono per finalità differenti e di cui potremmo aver perso la disponibilità.
Queste micro cessioni costanti di informazioni, che viste da sole sembrano innocue, possono essere potenzialmente raccolte e riassemblate “in laboratorio”. Questo permette di ricreare chi sei, cosa fai, cosa vuoi, come stai, cosa voti. Non solo. L’analisi “intelligente” di queste informazioni permette in modo incredibilmente preciso di sapere chi sarai, cosa vorrai, cosa penserai, come starai e cosa voterai. Senza un freno legislativo, già oggi insufficiente, è quindi possibile indirizzare preventivamente gusti, movimenti, abitudini, pensieri, modificando così senso e contenuti dell'autonomia delle persone, incidendo sulla loro identità. Cosa forse utile quando compare online la promozione di quel prodotto che - guarda caso – proprio ieri avevo pensato di acquistare. Più preoccupante se un giorno quei dati potessero essere usati per decidere se verrai assunto in un Comune, essere scelto come scrutatore ai seggi o curato per una determinata patologia. Davanti a noi si presentano mutamenti che toccano l'antropologia stessa delle persone.
La difficoltà di chi deve governare questi temi, il legislatore in primis, è quella di trovare punti di equilibrio fra diritti e interessi solo apparentemente “contrapposti”. Ma senza mai perdere il punto cardine della nostra democrazia, cioè che lo Stato di Diritto è “sub lege”, non “sub homine”. La privacy non è un ostacolo, ma la via grazie alla quale le attività quotidiane, le innovazioni mediche, scientifiche e tecnologiche possono legittimamente entrare nelle nostre società e nelle nostre vite.
Sono convinto che la riflessione sulla protezione dei dati e sul diritto all’autodeterminazione informativa sia un passaggio ineludibile per comprendere la condizione dell'uomo in questo millennio e per definire i caratteri che la democrazia sta assumendo, anche nella misura in cui la privacy debba anche comprimersi fino ad eclissarsi di fronte ad emergenze, come quella pandemica.
Sono convinto che politica e mezzi di informazione, ma anche famiglia, scuola ed in particolare gli insegnanti, debbano avere la consapevolezza di tutto questo, in tempi che sono e saranno molto difficili. Il compito è impegnativo. Ma nel contesto sopra tracciato, trovo errato lasciare questo ruolo solo al Garante della Privacy, magari temuto perché eroga sanzioni, o a qualche presunto burocrate. E’ una forma di responsabilità più ampia, una sorta di obbligo morale, nel contesto di quei poteri di bilanciamento che hanno garantito le basi e lo sviluppo della nostra democrazia, che non possiamo sempre dare per scontata.
Avv. Paolo Vicenzotto
Responsabile della Protezione dei Dati